Problemi con la segnaletica

Bus a metano
In Giappone ho avuto spesso problemi con la segnaletica. Ricordo i primi tempi avevo grosse difficoltà a comprendere i nomi delle stazioni. Ad esempio era veramente faticoso cercare di capire il prezzo del biglietto, visto che per utilizzare le biglietterie automatiche dovevo saper leggere i caratteri giapponesi.

Mi irritavo spesso perché la maggior parte delle stazioni (ovviamente quelle non turistiche) non erano bilingue. Successivamente ho capito che in Italia ci perdiamo su situazioni molto più banali.

Un giorno Hiromi mi chiama tutta scombussolata dicendomi che non c’erano bus che raggiungessero la sua destinazione. Andavano tutti in un luogo strano, tutti in una stessa direzione. Mah, sembrava un’ assurdità, cercando di capire meglio le ho chiesto dove andavano tutti questi bus e quindi di leggere bene l’intestazione che c’era sul mezzo pubblico. Hiromi, come al solito in quelle condizioni di stress, era particolarmente confusa e non ricordava bene il luogo. Così nell’attesa di leggere questo cartello, decidiamo di aspettarlo insieme (io ovviamente al telefono). Il bus arriva ed Hiromi inizia a leggere …. Bus, bus… a … a…. Metano!
Hiromi: ” Ma ndo sta sto Metano, non è segnato su nessuna piantina!!!!”

Dopo essermi ripreso da una risata senza precedenti, non è stato facile spiegarle che quella etichetta la mettono come pubblicità per l’attività comunale, che effettivamente il mezzo pubblico è abbastanza grande e potevo segnalarlo anche in un altro luogo invece di metterlo nel posto dedicato alla destinazione finale.
In fondo siamo in Italia e Roma è una città con pochi turisti quindi è normale che qualcuno scelga soluzioni come quella….

ps. un mio aneddoto divertente con l’incomprensione della lingua giapponese è stato il post scritto sull’ elettronica di casa, cliccate QUI per leggerlo, ero davvero buffo in quei momenti.

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Kabukicho: il quartiere nascosto

Abbiamo sempre scritto di Roppongi come il luogo della vita notturna a Tokyo. Probabilmente è vero per quanto riguarda i turisti, ma il luogo della vera “trasgressione notturna” è il quartiere Kabuki-cho.
Un luogo dell’area di Shinjuku con un’altissima densità di popolazione.

Devo dire che l’ho scoperto leggendo un libro (Tokyo soup di Murakami) nelle mie lunghe giornate trascorse nella capitale giapponese.
Sembra strano ma pur vivendo a Tokyo e pur essendoci passato più volte, non avevo mai dato tanta importanza a questo posto. Il motivo è che di giorno è un luogo quasi normale, ma di notte a quanto pare si trasforma (ovviamente come tutti sapete, io ho avuto poche possibilità di vedere Tokyo di notte…leggere Brutta notizia).

Shin, un mio amico giapponese che è nato e vissuto da quelle parti lo definisce “never sleep town”. Infatti come ho appena scritto è un luogo tipico da vita notturna, (basato su una grande comunità coreana) una Tokyo a luci rosse pieno di sex’s bar, love hotels, strip clubs, dove con tutta probabilità girano anche grandi quantità di droghe.
Ovviamente in un posto simile non può mancare il controllo da parte delle mafie.

yakuza

In passato ci sono state moltissime lotte tra la Yakuza e le mafie cinesi costringendo il governo negli ultimi anni a prendere delle contromisure da vera “tolleranza zero”.
Attualmente la zona è stata per lo più “addomesticata” diventando un posto abbastanza tranquillo, ma forse ha perso un po’ del suo fascino tenebroso e losco.

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A differenza di Roppongi non è un luogo turistico. Gli stranieri soprattutto nei locali notturni non sono ben visti, anche se con l’attuale recessione probabilmente sono diventati un po’ più elastici.

A Kabukicho anche le femminucce posso soddisfare i propri desideri più nascosti. Molto famosi infatti sono gli host club per donne dove ragazzi vestiti in modo molto stravagante offrono compagnia davanti ad un costosissimo drink.

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Hiromi mi fa notare che questi ragazzi ricevono un sacco di regali molto costosi… (cari maschietti italiani so a che state pensando! Ma attenzione sono abbastanza selettivi da quelle parti :P)

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Questi ragazzi chiamati Host hanno anche il compito di reclutare giovani ragazze che vogliono “partecipare” diciamo alla vita notturna. Si piazzano in strada e basta che una ragazza ha una minigonna per essere fermata ed avere questo genere di proposta. Ad Hiromi è capitato persino quando girava di giorno a Shibuya. E noi ci lamentiamo di quei poveracci che ci infastidiscono per venderci due rose….

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Kabukicho è un quartiere nascosto, che vuole confondersi, senza farsi troppo notare agli occhi di noi stranieri. Un luogo caratteristico che cerca di sopravvivere nonostante tutti i suoi dubbi e i suoi contrasti.

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Tutto d’un fiato!

E si mi avete scoperto siamo in Italia.
Sono arrivato a Roma nel gennaio 2008, di seguito una breve cronologia degli avvenimenti.

Dopo un breve periodo di ambientamento nel quartiere romano di San Lorenzo, mi trovo catapultato in un nuovo lavoro nella capitale.

Hiromi lascia il lavoro a marzo e viene anche lei in Italia. Si ambienta in tempo zero: infatti dopo un giorno inizia a dire “AO!!”; dopo due “Ao stai a scherza???!!”; dopo tre “alll’immortacci… te meno!!”

Dopo due mesi di lotta continua torna in Giappone un periodo che le consente a lei di prendere la patente e concludere tutte le pratiche per tornare in Italia senza problemi e a me… di prendere un po’ fiato…
In questo momento mi accorgo di quanto sia sorprendente la mia cara mogliettina: la super gelosissima Ninja per non farmi pagare uno sproposito in affitto mi fionda una ragazza giapponese in una delle stanzette dell’enorme appartamento in cui vivevo. Dopo qualche giorno però mi accorgo invece quanto siano infide le donne anche nel paese del sol levante: ovviamente era una spia nemica messa lì per controllarmi!

Nel frattempo continuo a lavorare come un pazzo, sino a 14 ore al giorno e a ritmi vertiginosi…. i giapponesi mi fanno un baffo! Quindi non ricordo una bega di quel periodo.

Ad ottobre si trasferisce definitivamente in Italia, nel frattempo io consolido la mia attività.

Inizia il periodo dei week-end di guerra totale: dopo i giorni lavorativi della settimana idilliaci, si finisce il week-end con battaglie terrificanti per la gioia dei vicini.

A gennaio 2009 ci trasferiamo e andiamo ad abitare fuori Roma.

Lo scannamento continua così che Hiromi per “alleggerire” le sue performance contro di me decide di andare a fare un po’ di attività fisica cercandosi una palestrina amatoriale di Karate. Peccato che sbaglia palestra e finisce in una a livello agonistico con due campioni mondiali e tre campioni italiani che decidono di allenarla seriamente. Nel successivo week-end decido di alzare bandiera bianca e chiedere al Burundi asilo politico.

Miracolosamente riusciamo a terminare un week-end senza litigare, a mezzanotte brindiamo l’incredibile avvenimento. Alle ore 3 però ci svegliamo in mezzo la notte per il fortissimo terremoto dell’Abruzzo (non scherziamo è stato davvero così tanto da sentirci persino un po’ colpevoli).

Hiromi inizia ad affrontare il traffico romano con spavalderia integrandosi perfettamente nel sistema, tanto da prendere tutte le peggiori caratteristiche degli autisti nostrani. Alla fine decide pure di rimodellare la mia macchina schiantandola su un guardrail per renderla più conforme con le carrozzerie che si vedono in giro da queste parti.
(…mortacci…)

Ora (proprio in questo momento che scrivo) siamo a casa tutti belli tranquilli e lei sta piangendo mentre guarda un dramma giapponese…
(mah!)

Ecco qui la breve cronistoria di quello che ci è successo nell’ultimo periodo. Siamo ancora qui e ancora vivi e tra alti e bassi viviamo la nostra vita a mille! non è cambiato nulla dal Giappone, solo il paesaggio, noi siamo sempre uguali e ci vogliamo un bene da….morire! 😉

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Be Water

Essere acqua e scorrere fluida senza ostacoli.
Credo che sia proprio questo il segreto per gestire l’immensa folla di Tokyo. Trenta milioni di persone compresse in uno spazio molto limitato.
Nonostante questo la folla scorre sempre senza intoppi e dove si crea qualche problema c’è sempre dietro qualcuno pronto a risolverlo.

Un esempio di tecnologia al servizio dell’organizzazione
Se in Giappone, nelle stazione dei treni, ci fossero le nostre timbratrici come a Milano e a Roma, l’economia Giapponese (e forse anche quella mondiale) si fermerebbe.
Mai visto una coda degna di questo nome, né per prendere un biglietto né per timbrarlo all’ingresso della stazione. Le persone non si devono fermare, ma è necessario che scorrono fluide senza ostacoli, altrimenti sarebbe un disastro con km di code in ogni stazione. Infatti queste timbratrici hanno una tecnologia incredibile, riconoscono diversi tipi di formato (Biglietto, tessera prepagata, dispositivi elettronici) e non rallentano mai (ovviamente se il biglietto è in regola) nessuno, permettendo alla persona di continuare con il suo passo inserendo il biglietto in qualsiasi senso per poi riprenderlo qualche passo più in là in tutta tranquillità.

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Non solo tecnologia. Nei meandri del blog ci dev’essere un post dove avevo scritto qualcosa sugli addetti nelle stazioni dei treni che nelle ore di punta spingevano i passeggeri (rigorosamente con i guantini bianchi) nei vagoni per far chiudere le porte e non creare ritardi e disagi (eccolo QUI).

Ricordavo quando mi recavo al lavoro la mattina (QUI) , mi sentivo davvero come una piccola molecola d’acqua che faceva parte di un fiume immenso calmo e pacifico che si divideva compostamente in tanti piccoli rami.

Brutto parlare sempre male dell’Italia (in questo caso sarebbe davvero come sparare sulla croce rossa) ma dai noi “le dighe”strutturali e organizzative sono ovunque e da anni, da quando ti svegli la mattina intoppi e problemi sono all’ordine del giorno.

Il problema sta proprio nella mentalità. Nella fattispecie l’italiano è davvero particolare: si lamenta ed impreca perché si trova in una coda interminabile in autostrada causata da un incidente, per azzardare poco dopo un sorpasso al limite senza rendersi conto che con quel comportamento con tutta probabilità lui stesso in futuro provocherà la stessa coda per l’identica ragione.

In Giappone un meccanismo simile funziona solo perché alla base c’è una grande educazione, molta umiltà e un rispetto per le altre persone eccezionale.

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BUH!!!!!

spaventati?!

che emozione scrivere ancora su questo blog… veramente. Quanti ricordi.. vi prego “costringetemi” a scrivere qualcosa! Sarei il primo ad esserne felice.

Volevo solo avvisarvi che sono ancora vivo, ed Hiromi è qui vicina a me … sta brontolando naturalmente!

Che è successo? Niente di particolare …o tutto…beh dai sono cambiate un po’ di cose, ahimè anche i paesaggi.
Moh Hiromi invece di dire “te capì” si esprime un po’ differentemente… “aho, ndovai???!”

Mannaggia…. ce ne sarebbero di cose da raccontare

chissà!

Comunque volevo ringraziare tutti per i commenti, veramente, mi piacerebbe poter scrivere a tutti voi e magari potervi pure conoscere e non è detto che non accadrà!

A presto!

ps. questo post ha un tempo definito, tra un po’ si eclisserà nei meandri del blog

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Il mio matrimonio (seconda parte)

Questo è il proseguimento del cliccatissimo post sul mio matrimonio (che potete rileggere qui) Ogni volta che penso a quei momenti mi vengono ancora i brividi…

ridimensiona-difotoobrellino.jpgDopo aver superato il trauma di vestire il kimono ci accingiamo ad andare verso la cerimonia. Il rito vuole (o semplicemente la buona educazione nipponica) che l’uomo sta davanti alla damigella. Il problema che io ero troppo “imbesuito” a pensare alla mia falcata da samurai, invece di controllare che la damigella restasse dietro a me. Infatti il kimono femminile, al contrario di quello maschile, è molto stretto alle caviglie costringendo la donna a fare solo dei passettini molto piccoli. In questo modo si formavano delle voragini tra me e lei che le povere assistenti (anche loro rigorosamente in kimono) cercavano di limitare rincorrendomi per bloccare in qualche modo il mio impeto.
Oltretutto dovevo tener un maledetto ombrellino che mi si incastrava ovunque, sopratutto nel mega “ciuffazzo” di Hiromi.

Finita la gita intorno al giardino, con tutte le problematiche del caso, ci toccava affrontare gli invitati nella sala da pranzo.

Non so esattamente la ragione, ma ero sempre sull’orlo di svenire. Probabilmente i giramenti di testa erano dovuti o ai mille inchini che bisognava fare ad ogni invitato, o più semplicemente al soffocamento provocato dai mille strati di coperte che mi erano stati messi sotto il kimono per mascherare il mio “panzone”. Sta di fatto che tra una gaffe e l’altra si entra nella sala da pranzo.

Ricordo che ero l’unico occidentale in tutta la sala. L’unico che non capiva una bega di giapponese e di quello che gli stava accadendo intorno. Un vero e proprio incubo.

Arrivati in sala si doveva girare intorno agli ospiti seguendo un percorso prestabilito che io costantemente sbagliavo, facendo diventare matte le assistenti che non sapevano come bloccarmi ed reindirizzarmi nella posizione corretta. Divertente che gli ospiti in sala, ad ogni movimento errato, rispondevano con degli “OOOOOooooooohhhh”.

Insomma se l’inizio era stato complicato il proseguimento andava sul disastroso.

Miracolosamente ci uniamo al tavolo degli sposi e mentre la tipa che doveva dirigere il tutto parlava al microfono, io cercavo di mascherare con dei sorrisi tiratissimi “l’ impercettibile” tensione che sentivo, ma purtroppo gli inconvenienti non ero finiti per nulla.

Altra stravagante usanza vuole, che davanti a tutti gli invitati, si deve firmare un foglio che non ha nessuna valenza legale. Una firma semplicemente davanti alla comunità.

Oggettivamente una operazione abbastanza semplice, ma il caso vuole che la penna fornita mi si rompe in mano. Adesso non credo che sia stata per colpa della tensione e che quindi ho premuto un po’ troppo sulla povera pennina, ma credo semplicemente che sia stata una buona dose di sfiga o più semplicemente che qualcuno si sia divertito alle mie spalle (se ci fosse stato qualche italiano lo avrei creduto davvero). Sta di fatto che così il mio nome , davanti alla comunità è rimasto tagliato, anche se credo che nessuno in sala se ne sia potuto accorgere.
La giornata era ancora lunga ma il tempo proprio non ne voleva sapere di passare….
(continua)

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“OGGI C’ERA BRUTTA NOTIZIA”

Nel mese di dicembre un mio carissimo amico è venuto dall’Italia a trovarmi. A dire il vero siamo partiti insieme (anche se su due aerei diversi).

Come tutti sanno uno dei grandi problemi nel fare questi grandi viaggi è smaltire il fuso.

Penserete che ormai dovrei essere abituato. Non è così, visto che è il nostro corpo che decide, anche se sicuramente sono riuscito a farmi un po’ di esperienza per gestirlo al meglio.

Così, io e il mio caro amico Danilo ci trovavano a vivere in Giappone con gli orari molto simili a quelli italiani.

Ci si alzava a mezzogiorno e si faceva colazione, poi si pranzava intorno alle 5 del pomeriggio.
(lo so lo so che questo è il genere di vita che molti di voi auspicano di vivere in ITALIA)

In questo modo si arrivava alla sera con gli occhi spalancati e il pancino del tutto vuoto.

E che si fa?!

Fermo restando che nessuno dei due è mai stato interessato alla vita notturna in generale, rimaneva comunque necessario trovare qualcosa da fare.
Così intorno alle 11 di sera si decideva di andare a fare un giretto per “rimpizzarci” e cercare di farci venire un po’ di sonno con lunghe camminate (qui i treni intorno a mezzanotte si fermano).

La nostra intenzione, purtroppo, era quella di trovare un locale dove poter bere solo futatsu biru (due birrette). Peccato che la zona dove abito è assolutamente inadatta per andare in giro di notte, infatti la risposta più frequente che ci si trovava davanti era un “MOO OWARIMASU” (già chiuso).

E’ bello vedere Tokyo di notte, non quella dei pub, delle discoteche o dei luoghi dove sono stati già scritti mille racconti, ma la parte semplice, delle vie normali: dove ti può capitare di vedere una persona che parla e ride da solo in mezzo alla strada ma senza invadere la tua, dove ti trovi un senzatetto che si addormenta su un marciapiede composto come se fosse nel letto di casa, dove ti imbatti in due ubriachi che strillano e non capisci se litigando o giocano (ma tutto nel massimo rispetto delle altre persone).
Una Tokyo vera, normale, dove sembra che le persone possono finalmente vivere come realmente si sentono senza il terrore di non essere il “cittadino perfetto” nel pieno rispetto delle regole (senza per questo aver la necessità di dover importunare qualcuno o distruggere qualcosa). Anche nei luoghi più trasgressivi, si sente che non c’è spontaneità, che la trasgressione non è un modo di ricercare se stessi ma una forzatura inglobata e gestita.

Noi ingenuamente pensavamo di non fare nulla di male, ma non avevamo fatto i conti con la mia cara mogliettina! Hiromi, come tante ragazze in Giappone, sono terrorizzate che i propri fidanzati o maritini vivono la vita notturna di Tokyo.

In una di queste sere Hiromi si trovava fuori casa per lavoro, “disgraziatamente” le viene in mente di chiamarci a casa, naturalmente senza trovare nessuno.

Dopo aver fracassato i timpani di tutti i vicini con mille chiamate al telefono fisso (io in Giappone ho avuto la fortuna di non aver mai preso un cellulare), decide in tutta libertà di mandare una mail alla mogliettina di Danilo per avvertirla del fatto che il suo maritino e io avevamo brutte intenzioni. Naturalmente io per precauzione le avevo dato un indirizzo falso… (!)

La mail naturalmente è uno spasso (un po’ meno gli insulti che mi sono preso dal vivo eh eh)

“Ciao Erika!! sono Hiromi dal giappone.
oggi c’era brutta notizia. Matteo e Danilo sono usciti a qualche parte ogni sera da mezzanotte quando non sono a Tokyo per lavoro. adesso sono le due di notte ma non sono tornati ancora a casa…non lo so cosa stanno facendo…ma anche ieri sera e anche due giorni fa era cosi.
sono brutti…forse stanno facendo schifo a Tokyo…”

l’ultima frase è davvero sublime…

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Ricordate la mail mitica di Hiromi “te capì”? E’ stato il post più linkato in assoluto del blog, andate a leggerlo: te capì
Beh a grande richiesta inseriamo anche il post sulla copertina e il copertone!

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Hiroshima e l’Atomic Bomb

Hiromi è di Hiroshima, e anche se è nata tanti anni dopo lo scoppio della bomba ha vissuto tutto il peso della sua storia.

Ad Hiroshima non si dimentica, c’è l’Atomic Bomb Dome che ha fermato il tempo. E’ lì ad indicare il punto più alto di quanto e cosa possa arrivare a fare di sconvolgente l’uomo.

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Ogni volta che mi reco ad Hiroshima rimango spesso a fissarlo mentre attraverso il fiume sul ponte anomalo a forma di T (obiettivo mancato di pochi metri da Enola gay). Se ti riesci ad isolare dal mondo esterno che vive il caos della vita di tutti i giorni, puoi percepire almeno per un momento tutta l’atrocità di quei momenti.

Le immagini ti arrivano alla mente come tanti flash terribili: il fiume pochi minuti dopo lo scoppio si ricoprì di cadaveri. Migliaia di persone rimaste ancora vive (a pochi Km da ground zero), ci si recavano strisciando, mentre la loro pelle si squagliava, alla ricerca di un po’ d’acqua per calmare la terrificante sete provocata dalle radiazioni e ci morivano dentro dopo aver passato una tremenda agonia.

Era mattina quel giorno. Una mattina come tante altre. Sino a quel momento Hiroshima era stata risparmiata da tutti gli attacchi e questo creava uno stato inquietante tra tutti i suoi abitanti.
Perchè? perchè non ci bombardano? quale sarà mai il nostro destino?
La città doveva rimanere intatta. Doveva sparire in un istante per dimostrare al mondo intero la potenza autodistruttiva dell’uomo.

I pochi istanti prima dello scoppio di Little Boy, la vita di Hiroshima trascorreva nella normalità che un periodo di guerra poteva permettere.
Era una bellissima giornata (tragicamente troppo bella e limpida da rendere Hiroshima un obiettivo perfetto) e i bambini si avviavano per andare a scuola: chi preoccupato per un eventuale interrogazione, chi pensava alla compagna di banco, chi tutto assonato camminava desiderando di ritornare nel proprio lettuccio.
Le mamme con la preoccupazione di riuscire a dare un po’ di sicurezza e un po’ più di tranquillità ai propri figli, si apprestavano a vivere una giornata come tante altre: chi stendeva il bucato, chi si preparava alla poppata per il proprio bimbo, chi abbracciava il proprio marito facendosi forza e pensando ad un possibile futuro migliore.
La gente non aveva deciso di vivere la guerra e cercava la normalità. Ma pochissimi potenti avevano segnato un destino differente:

6 agosto 1945 ore 8:15

un flash
poi più nulla

uomo non dimenticare

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Se pensate possa essere utile fate girare questo post

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Confronto tra italiani e giapponesi sul lavoro

“AH! Quella DONNACCIA!!”
Ieri Hiromi è arrivata con questa simpatica espressione dal lavoro.
Dopo essermi ripreso da un scoppio di ovvia ilarità, ho cercato di capire perché fosse tanto arrabbiata.

Come tutti ben sapete, la cultura giapponese è abbastanza rigida quando si tratta di far rispettare le regole.
Quando una regola è certa e ben definita non si scappa, non c’è “ma” e “se” che tenga.
Infatti è anche grazie a questo che c’è un organizzazione così impeccabile.
Ma il passaggio per elaborare regole efficienti e pratiche, non sempre è così semplice da queste parti. Rispettare le regole in un modo così ossessivo ti porta ad un alto rischio di perdersi nel classico “bicchier d’acqua” se ti capita qualcosa che non è stato ancora definito.
Noi italiani forse siamo fin troppo sbrigativi, che da un punto di vista può essere un vantaggio nel risolvere piccole problematiche varie che ci accadono improvvisamente, dall’altra parte ci rende vulnerabili ad un certa leggerezza e superficialità che a volte causa enormi disastri.

Quante ore in realtà?
I giapponesei lavorano così tanto? certo, ma molto TRANQUILLAMENTE (dalla serie con le “pantofole” in ufficio).
Forse un po’ presuntuosamente mi permetto di paragonare le 8 ore di lavoro di un giapponese alle 4 di un italiano che lavora bene e soprattutto onestamente, ma c’è un “MA”.
(Occhio! personalissima analisi)

Il lavoratore giapponese deve prevedere tutto. Se capita qualcosa di non previsto rimane bloccato e nella maggior parte dei casi deve chiedere ad una persona più ad alto livello per procedere e se questa non lo può fare a sua volta dovrà salire nella scala delle responsabilità.
Insomma un sistema sicuramente più laborioso ma che da delle certezze. Una solida base dove ognuno sa come comportarsi. Oltretutto ogni azione viene isolata, quindi nel caso si devono trovare delle responsabilità si sa perfettamente dove colpire.

L’italiano (che lavora) è in grado di reagire efficacemente e in tempi ristretti a qualcosa di non previsto. Ma la casistica di errori sale drasticamente. Purtroppo, se la situazione lavorativa non è ben organizzata, il tempo che in teoria guadagna lo riperde successivamente (in abbondanza), nel riordinare i disastri che crea per mancanza di precisione o affidabilità.
Oltretutto se si devono cercare eventuali responsabilità è più semplice, per chi vuol farla franca, far cadere tutto nella più totale confusione.

In Giappone più volte mi sono scontrato con il loro modo di pensare, sia sul lavoro che nella vita di tutti i giorni. Ma fa più sensazione quando è proprio una giapponese ad esserne sfinita.

Certificato per ANA
La compagnia dove lavora Hiromi (l’ANA) porta all’eccesso tutto questo, soprattutto nel mondo delle hostess, visto che in generale sono forse proprio le donne ad essere sul lavoro più soggette al perfezionismo.
E così ogni cosa diventa un pretesto per soffermare la propria attitudine nel rispetto ossessionato delle regole: il colletto è 3 centimetri troppo spostato a destra, il fiocco del grembiule è troppo stretto,devi sorridere in questo modo, la spilla dei capelli dev’essere più dritta e così via…
E così veniamo al punto: i capelli di Hiromi.

I capelli di Hiromi sono una vera tragedia da quando è in ANA.
Lei ha dei bellissimi capelli castani naturali che creano delle sfumature particolari, così particolari che in Giappone, le ragazze (solitamente hanno tutte capelli scuri omogenei e dritti) se li devono tingere per ottenerle. Lei no, ha questa “fortuna” di essere così al naturale. Ma non va bene per la sua compagnia, visto che nessuna hostess può avere i capelli tinti. Come fare quindi visto che lei NON li ha tinti?
Voi direte, basta dire che ha i capelli naturali ed è finita lì, tanto in Giappone sono tutti onesti e bravi che bisogno hanno di indagare ulteriormente? Con il CAVOLO. Deve portare un certificato che attesta che lei ha i capelli così dalla nascita. E ogni volta che cambia gruppo e di conseguenza capo deve dimostrare che i suoi capelli sono naturali. Beh quando capita lei ha il vantaggio, non trascurabile, di poter imprecare in italiano con tutta liberta (eh eh).
Sinceramente mi sarei aspettato che le chiedessero di tingerseli di nero, altrimenti i passeggeri potrebbero rimanere “offesi” nell’essere serviti da una presunta “tinta”.

A quanto pare Hiromi non “sclera” piu` da sola. Infatti parlando di questo post con lei, mi ha detto che ora tutte le sue colleghe – imitando lei quando qualche cliente o capo stressa – alzano gli occhi al cielo, agitano le mani su e giu` e dicono: “ma che du ball!”

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Un incontro “troppo” ravvicinato

Ricordo che per la finale mondiale dell’Italia, proprio alla vigilia della partita decisi che dovevo ritornare assolutamente in patria per vederla. Così la mattina seguente presi il primo aereo (con Hiromi che mi seguiva con il “mattarello” mentre uscivo di casa) e arrivai giusto in tempo per la vittoria degli azzurri.
Le cose ora si sono invertite, la finale si trovava in Giappone ed io mi trovavo in Italia.
Come dice un mio caro amico, in entrambi i casi ho portato bene, però sarà dura
mantenerlo in futuro (almeno che l’associazione calcio italiana non decida di contribuire eh eh).

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Tutto bello dicevo, come scritto nel post precedente (che diventa in realtà questo, per non rendere troppo dispersivo il blog), ho pure incontrato i giocatori di sfuggita come si vede nella foto con Seedorf (simpatici e disponibilissimi su tutti proprio Seedorf, sarà l’aria del Giappone?).
Come ho fatto? Niente di trascendentale, diciamo che se sei un po’ deciso non è difficilissimo eludere i blocchi dei giapponesi dove non ci siano regole rigide e definite come all’ingresso di un Hotel (il solito italianaccio…e mentre io “sguazzavo” libero tra i giocatori, una folla di giapponesi stava assolutamente composta dietro i nastri rossi… cazzarola se m’impegnavo di più penso potevo firmare anche qualche autografo ah ah).

Tutto bello ma una delle mie la dovevo proprio combinare.

Festeggiare? Forse meglio di no!
Dopo la partita e festeggiamenti vari all’interno dello stadio, infreddolito come non mai, decido di rientrare a casa con Danilo (compagno di sventure venuto dall’Italia in questi giorni) e il papà di Hiromi (incredibile che all’uscita dello stadio le persone di servizio dicevano a tutti i tifosi arigatoo gozaimasu –grazie mille – con inchino, a questa mandria di balordi milanisti –me compreso eh eh- ve lo immaginate nei nostri stadi?).
Ad un certo punto, quando ormai lo stadio era alle spalle, sento i cori di un bel gruppo di tifosi davanti allo stadio, all’indirizzo dei benamati “cugini”.
Non resistendo all’impulso di unirmi, decido di tornare indietro da solo. Visto che la strada principale era molto intasata dalla gente che stava andando via, per far prima, decido di prende una secondaria semi deserta che aggirava lo stadio. Corro veloce (panza permettendo) per unirmi il più presto ai cori. Quando, appena girato un angolo in un vicolo semibuio, mi trovo davanti un gruppo molto folto di “persone a testa bassa”…. Chi saranno mai??

Ora vi chiedo, quale puo’ essere la cosa più disgraziata per un tifoso, oltre che vedere la propria squadra perdere una finale?!
Trovarsi improvvisamente IN MEZZO e DA SOLO, in una stradina semi deserta, NEGLI ULTRA’ DELLA SQUADRA AVVERSARIA che hanno PERSO la FINALE!
E si avete capito bene, stavo correndo come un scemo e improvvisamente mi trovo dentro a sto muro giallo blu di ultrà… che faccio? CONTINUO A CORRERE E ANCORA PIU’ FORTE!

Praticamente loro sono stati colti di sorpresa quanto me. Infatti la mia fortuna è stata che non mi sono fermato, ma sono passato diritto in mezzo a tutta velocità (ok ok si fa per dire eh eh). Mi ha salvato l’effetto domino: praticamente ora che alzavano la testa e si accorgevano che un “povero stupido milanista” era passato davanti a loro, diventava troppo tardi!
Ho solo preso di striscio un tamburo (quello che si è sentito per tutta la partita… che onore!) e qualche tentativo “velleitario” di prendere la mia sciarpa colorata ahimè rossonera (a dire il vero ho visto anche qualche mano aperta alzata sopra di me…fiuuu).

Fortuna vuole, che grazie a Kaka’, erano troppo depressi e stanchi per rincorrermi.

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Se volete, potete guardare qualche foto qui:
Finale a Tokyo

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