Era il mio primo viaggio in Giappone. Con Hiromi c’eravamo incontrati solo due volte. Dovevo affrontare questo nuovo paese e non ne sapevo nulla.
Come al solito ci andavo allo sbaraglio. Un po’ per pigrizia un po’ per il fascino della sorpresa non sono mai stato un amante della pianificazione quando si tratta di viaggiare.
Così mi trovavo su quell’aereo diretto in Giappone, sapendo solo che sarei arrivato nell’aeroporto internazionale di Narita e da lì avrei pigliato un Bus che mi avrebbe portato a quello nazionale di Haneda in centro a Tokyo. In quel momento ci sarebbe stata Hiromi ad attendermi.
L’aeroporto di Haneda è particolare perché si trova proprio in mezzo alla città. Hiromi per questioni ovvie di lavoro ci abitava abbastanza vicino e spesso quando andavo al parco vicino al fiume che passa attraverso Tokyo, mi capitava di vedere l’immagine suggestiva di questi aerei enormi che sparivano tra i grattacieli. Oltretutto è un aeroporto costruito sul mare grazie al terreno fatto dai rifiuti e quindi poco consistente nel caso di terremoti molto forti. Quando me lo raccontava Hiromi, rimanevo un po’ angosciato nel pensare che lei si dovesse trovare lì per lavoro.
Era il mio primo viaggio così lungo in aereo. Dodici ore sono davvero tante se non sei abituato, però hai il tempo per pensare ed io ne avevo di cose, visto che la mia vita con quel viaggio poteva radicalmente cambiare.
Gli ultimi tempi con Hiromi non erano stati semplicissimi. In fin dei conti ci conoscevamo da più di un anno ma in realtà ci eravamo visti solo due volte e per pochi giorni. Ci dev’essere davvero qualcosa di speciale per riuscire a stare così uniti nonostante i tanti dubbi e le grandi difficoltà.
Così mi trovavo ad affrontare questo viaggio con il pensiero che qualcosa poteva anche andare storto.
Era arrivato il momento di atterrare, mi sentivo agitato, ma nello stesso momento eccitato: stavo per vedere un nuovo mondo!
Una volta sceso dall’aereo mi dirigo verso il controllo passaporti. Il percorso era accompagnato da un voce registrata gentilissima che ti dava il benvenuto. C’erano tanti giapponesi che rientravano con il nostro volo, ma anche tanti stranieri e tutti rispettavano in un rigorosissimo silenzio il percorso che ci portava al controllo passaporti.
Svolti tutti i controlli del caso, anche in dogana il personale era molto cortese, mi reco alla biglietteria per prendere i biglietti del BUS che mi avrebbero portato nell’altro aeroporto nazionale in centro.
“Sono proprio in Giappone, non sembra vero!”.
Quando ti rechi un un altro paese ti rendi conto di esserci nel primo spostamento che dall’aeroporto ti porta al centro. Mi piacciono un sacco le prime sensazioni che si vivono in quel primo contatto con il nuovo paese.
In Giappone la prima cosa che ti colpisce sono le prime scritte che incontri con gli ideogrammi che naturalmente trovi ovunque.
La vocina elettronica nel BUS, sempre gentilissima e armoniosa (a me sembrava la stessa dell’aeroporto) segnalava le varie fermate. C’era anche in inglese e questo mi rendeva il viaggio un po’ più tranquillo, anche se c’era la preoccupazione di non riuscire a scendere nella fermata corretta. Dove sarei finito altrimenti!?
Finalmente arriviamo all’aeroporto di Haneda, l’eccitazione era alle stelle, stavo per incontrare Hiromi. Un mese insieme avrebbero deciso tante cose.
Stabilire di stare insieme seriamente significava stravolgere per entrambi tutto ciò che ci aveva circondato sino a quel momento. Non vivevo solo un viaggio. Per me andare in Giappone aveva significati ben più importanti: poteva radicalmente cambiare la mia vita, oppure rimanere un bel ricordo. Le incognite erano tante tutte da vivere con il massimo dell’ intensità!
Difficile descrivere le emozioni che provi. Cerchi di star calmo e di pensare solo a quello che stai facendo, come scendere dal BUS, prendere lo zaino e guardarti in giro magari potendo incrociare i suoi occhi.
“controlla l’emozione, controlla il battito, ci siamo ormai…”
Scendo mi guardo in giro…. ma di occhi conosciuti da incrociare non ce n’erano per nulla!
“Ma come?!”
Devo dire che prima di partire avevo avuto parecchie discussioni con lei. E’ veramente complicato mantenere un rapporto a distanza per un così lungo periodo. Impossibile anche fare la pazzia di un solo week-end. Non c’era alternativa che aspettare questo momento. Ma… Hiromi non c’era!!
Mi guardo in giro… nulla, provo ad aspettare un po’ ma niente. Allora, cercando di mantenere la calma, decido di chiamarla tramite un telefono pubblico, ma naturalmente l’operazione non era molto semplice. Chiamo, con la solita vocina in giapponese gentilissima – che iniziava ad infastidirmi – e diceva qualcosa che io ovviamente non capivo. Dopo due o tre tentativi decido di rinunciare.
“E ora??”
Nel momento in cui stavo imprecando contro il telefono e Hiromi, un signore giapponese altrettanto gentile che parlava inglese, viste le mie difficoltà mi offre il suo cellulare. Non sapevo che dire, ma visto che Hiromi non si vedeva e la disperazione che iniziava a prendere piede, decido di accettare l’offerta generosa.
Chiamo Hiromi ma risponde ancora quella “stramaledetta” vocina gentilissima. Il panico sale. Lascio il cellulare al signore, sperando di poter capire che diavolo stava succedendo, il quale mi avvisa che la vocina dice semplicemente che il telefono non era raggiungibile.
Ahi ahi…. riproviamo qualche volta ancora, quando finalmente Hiromi risponde.
“MA DOVE SEI FINITA?!!!!!!!!!!!!!!!!!”.
Dove poteva essere finita? Era solo un bel po’ in ritardo. Si era addormentata a casa, stressata dagli orari del suo lavoro.
Io trepidavo per questo incontro e lei invece si era addormentata.
Che potevo pensare? Nulla, difficile essere razionale in quei momenti, dovevo solo vivere bene tutto quello che mi stava capitando sperando di capire cosa veramente voleva lei. In un mese tutti questi dubbi (compresi i miei) si sarebbero chiariti.
(Continua… non so quando;)